giovedì 16 settembre 2010

Despedida

È tempo della "despedida", dopo 100 giorni precisi di permanenza nella cittá carioca, trascorsi tra le varie esperienze sociali, politiche e culturali che ho potuto seguire e nelle quali ho potuto partecipare.
Non ci sono bilanci da fare perché non devo tener conto a nessuno e le varie esperienze vissute le ho sufficientemente raccontate con parole, foto, immagini. Rimane un concentrato di vita che consolida l´esperienza umana della conoscenza e della condivisione di uno stesso tempo e di spazi aperti, spesso terre di nessuno, dove il quotidiano mette a dura prova gli individui che le abitano. Quale piú efficace immagine rende la visione delle contraddizioni del nostro mondo come quella dei diseredati di Rio? Quegli abitanti della strada che affollanno i luoghi sacri della finanza assicurandosi le porte delle banche quando queste chiudono ( solo al pubblico, si intende ! la massa di denaro é sempre in movimento) per avere un luogo dove ponere i loro letti improvvisati fatti di cartoni e stracci. E lá con le loro cianfrusaglie prepararsi e servirsi la cena con gli avanzi recuperati dalla montagna di rifiuti che si erge imponente in ogni luogo dove l´abbondanza dimora e perció si spreca. Non é solo un problema di chi non ha, ma anche, di altra natura, di chi ha molto. Un pensiero del Dalai Lama rende perfettamente l´idea, egli dice che gli esseri umani si rovinano la salute per poter arrivare ad ottenere soldi e poi sono costretti ad usare quei soldi per potersi curare. Le contraddizioni che si vivono in maniera enfatizzata a Rio de Janeiro sono emblematiche di un sistema mondiale di valori basati sul consumismo, una sorta di rete sociale nella quale si resta imbrigliati perché per ogni desiderio che si impone vi é giá una soluzione commerciale che si aspetta con ansia e ogni altenativa pensata per la propria vita diventa incertezza rispetto alla possibilitá di alterare il nostro livello di benessere. Una psiche schiacciata dalla logica di non potersi piú comprare un televisore o un apparecchietto elettrico per aspirare le briciole dei pasti dopo l´abbondante companatico ( chissá poi che si mangia vedendo cosa sta succedendo in Brasile come negli Stati Uniti con le coltivazioni transgeniche delle grandi multinazionali. E si potrebbe ritornare anche al pensiero del Dalai Lama !). Se si provasse a contare quanti oggetti circondano e si collocano nel nostro spazio e quanto tempo si perde per ognuno di esso, forse ci renderemmo conto di quanta invadenza e inutilitá essi hanno rispetto all´ esperienze che rendono grande la nostra vita. L´esperienza di Rio mi insegna che dobbiamo recuperare un senso di libertá basato anche sulla necessitá di privarsi di qualcosa. Il soldato greco che scoperto nell´accampamento nemico a rubare armi ed altro, non ha voluto gettare via le sue conquiste, per il peso di quelle non ha potuto correre tanto veloce e cosí si é fatto prendere e ammazzare e ha condizionato la sorte anche del suo amico che invece se ne era liberato. La libertá non é la mancanza di paure, ma non farsi schiacciare dalla logica delle paure, volere vivere le proprie esperienze e aspirazioni sapendo che anche le paure fanno parte di esse.
Cosí non é solo una lotta sociale per permettere di migliorare lo stato di povertá esistente, le condizioni igieniche dei luoghi dove si abita (La favela di Rocinha ad esempio rimane uno dei focolai di tiberculosi piú grandi in America Latina), per offrire opportunitá ai giovani di uscire dalle logiche delinquenziali, per proteggere la condizione delle donne e dei bambini ed altro ancora, ma anche per gridare a quelle societá opulenti di non rimanere spaparanzati davanti ai programmi delle emittenti mondiali, ma guardarsi attorno, ed incontrare quelle molteplici esperienze umane che ci incamminano verso una visione diversa di convivenza e di libertá.
Rio rappresenta anche un notevole laboratorio di cultura popolare, con i suoi piú di 200 "Ponto de Cultura", giovani delle comunitá che si proiettano nello spazio culturale che piú si addice per loro. Indubbiamente la musica la fa da padrona, non vi sono dubbi che il Brasile ha un rapporto speciale con la musica. E proprio da questo punto (e giocando con le parole da questo "Ponto") che l´identitá di ogni persona umana si costruisce, sulla specialitá che ognuno di essi puó dare. Ecco che in questo senso il "Ponto" é una possibilitá anche per chi non é brasiliano ma potrebbe essere stimolato a determinare scambi culturali, lavorando nel proprio paese per farlo, conoscendo la cultura di un luogo e esportando la propria. Creare opportunitá in una visione di condivisione tra comunitá e/o tra individui ritengo sia la base per migliorare questo nostro mondo afflitto da tanti problemi. Mi é arrivato giusto ieri un email di un professore catalano conosciuto nel gruppo di volontari della UAB (Universitá Autonoma di Barcelona) durante gli incontri sugli obbiettivi del millenio. È un articolo sopra la fame del mondo, invito a leggere anche se é in spagnolo o in catalano. http://albertsales.wordpress.com/2010/09/17/amb-el-menjar-no-shi-juga/ .
Solo iniziando ad attivarsi si intuisce che questo speciale cammino permette di allargare i nostri orizzonti e non ci fa temere di viaggiare in spazi molto piú estesi che quelli territoriali, cosí la mia "Despedida" da Rio non é una foto che mostra un ricordo ma é un abbraccio profondo che mi stringe ad un´altra parte del mondo.

zevalerinho

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